São Leopoldo – Brasile, 4 agosto 2013.

Carissimi amici,

qui in Brasile abbiamo ricevuto la visita di Papa Francesco, venuto a prendere parte della Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata a Rio de Janeiro. Qualcuno di voi mi ha chiesto se abbia partecipato anch’io a quell’evento. Non mi è stato possibile, per vari motivi che non sto ad indicare. Tuttavia, l’ho seguito e accompagnato meglio che ho potuto, usando i mezzi normali di comunicazione.

In qualità di unico “corbiolese”, vostro amico o parente o conoscente che si trova ad operare in Brasile come prete e religioso, non posso lasciar passare questo apoteosico avvenimento ecclesiale, senza mandarvi un commento.

Questa è stata la quinta visita del Papa al Brasile. Le ho seguite tutte: tre di Giovanni Paolo II, una di Benedetto XVI e quest’ultima di Francesco. Le precedenti, pure importanti e partecipate, le sentivamo non poco “lontane”. Era Roma che ci visitava, che veniva a darci delle direttive “dal di fuori”, con un linguaggio non bene sintonizzato con questa realtà.

Questa volta invece ci siamo sentiti in sintonia, capiti e aiutati. Il linguaggio è stato preciso e diretto, facile da capire. I gesti del Papa, tutti espressivi nella loro semplicità, hanno scosso ed entusiasmato i giovani e il popolo in generale. Lo si è sentito e visto come un vescovo dei nostri, con assoluta autorità e prestigio morale, così da poter impartire orientamenti utili e pratici ai vescovi, ai preti, alla gente comune e perfino ai politici. È stata una vera benedizione di Dio, questa visita. So che anche internazionalmente ci sono state moltissime manifestazioni di apprezzo, ma qui in Brasile ancora di più, ed io personalmente le condivido in pieno.

Ci si è sentiti bene soprattutto perché è la prima volta che un Papa insegna ciò che la chiesa dell’America Latina si era proposta di fare subito dopo il Concilio Vaticano II: voleva essere una chiesa vicina ai poveri, staccata da altri interessi, e questo si era proposto già nel lontano 1968 nella Conferenza dei Vescovi avvenuta a Medellín, in Colombia. A quel tempo si era tracciato un programma di azione pastorale che a Roma non venne capito, anzi a volte ostacolato.

Vi riporto le dichiarazioni, fra tante altre manifestate in questi giorni, di due giovani brasiliani: “Con i suoi gesti e le sue parole, questo Papa ci fa ricordare che Gesù è venuto per servire e non per essere servito”; “I paramenti più semplici che lui usa, sono simbolo di ciò che noi ci attendiamo dalla Chiesa”.

Quanto a me, è proprio con questi ideali che a suo tempo sono venuto in Brasile. Ci sono venuto come prete e come religioso, membro di una Congregazione che ha per finalità il servizio ai ragazzi e ai giovani poveri. Sento rivivere

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in me quell’entusiasmo che avevo percepito da giovane seminarista, in quella fase primaverile della Chiesa di Giovanni XXIII e del Concilio. Oggi, prossimo ormai a completare cinquant’anni di vita sacerdotale e più di trenta di missione e di servizio ai bisognosi, mi sento in maggiore sintonia anche con Roma e col Vaticano, impegnati – a quanto pare – a rinnovarsi con una immagine di semplicità, di onestà e di maggiore coerenza col Vangelo.

Che il Signore benedica questo Papa, giunto a Roma dalle periferie dell’America Latina (visitava e conosceva bene le “favelas” o “villas miserias” di Buenos Aires) e lo renda capace di dare a tutta la chiesa un nuovo volto, semplice e “francescano”, tale da essere più assimilato e seguito dai cristiani e più capito dai popoli del mondo.

Vi lascio con questa riflessione, cari amici, e con tanto entusiasmo in cuore. Chiedendo, come Papa Francesco, che preghiate anche per me, vi saluto cordialmente nel Signore Gesù.

P. Renzo